Carnevale, da oggi i riti lucani con falò e sfilate

E’ il 17 gennaio. Il sole ha fatto capolino dalle nuvole. Era stanco di stare nascosto per permettere alla neve di cadere in questi giorni d’inverno. Nella piazza di molti paesini lucani gli ultimi fuscelli secchi vanno ad avvolgere le basi della catasta di legno. Debbono aiutarla a prendere fuoco, subito. I tocchi stanno uno sull’altro a formare una piramide, non per custodire un’eternità di vita, ma per far sprigionare lunghe allegrie e furori spesso scortesi già pronti a ripetersi per vari giorni e poi cessare, stanchi, in un giorno “grasso” e finire tra le braccia della Quaresima, triste e penitente. L’altezza di quella piramide dipende da quanti tocchi di legna i ragazzi sono riusciti a mettere insieme bussando di casa in casa a questuare. Un tocco l’ha donato volentieri ogni contadino perché in casa ha l’asino, il maiale e qualche altro animale da proteggere dal malocchio e dalle malattie. Egli sa che c’è un Santo capace di fermare l’invidia degli uomini e la cattiveria del diavolo. E’ sant’ Antonio Abate. E’ proprio in suo onore che si accendono i fuochi. Si può dire di no a Lui, che, per bocca dei ragazzi, chiede legna per scaldarsi un poco, abituato com’è stato a vivere nel caldo del deserto egiziano? Anche il calzolaio, l’impagliatore di sedie, il fabbro-maniscalco, il falegname, il bottaio, l’imbianchino, il sarto, l’arrotino e quegli altri con un mestiere tra le mani, hanno donato tocchi di legna per la piramide perché ciascuno di loro ha un qualche motivo, intimo o palese, per tenersi buono questo Santo eremita. Tutti sanno infatti che oltre agli animali Egli protegge gli uomini dalla malattia della pelle che porta il suo nome (il fuoco di sant’Antonio), tanto diffusa da queste parti, e da altre malattie infettive che si attaccano al corpo per distruggerlo.

 

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di Angelo Lucano Larotonda