Il punto di vista di Nino Grasso – I ghiotti fondi di sviluppo e coesione attesi dal governo fanno slittare la data del voto

Il punto di vista di Nino Grasso
I fondi di sviluppo e coesione attesi dal governo fanno slittare la data del voto. In foto il presidente della Basilicata, Vito Bardi, insieme al presidente del consiglio regionale, Carmine Cicala.
I fondi di sviluppo e coesione attesi dal governo fanno slittare la data del voto. In foto il presidente della Basilicata, Vito Bardi, insieme al presidente del consiglio regionale, Carmine Cicala.

di Nino Grasso

Pasticcioni e inconcludenti fino all’ultimo. In quella che è stata la legislatura regionale dei «dilettanti allo sbaraglio» non potevano mancare le comiche finali. Di cui ringraziare, innanzitutto, quei direttori generali esterni, privi di titoli e requisiti, provenienti da fuori regione. Ed in particolare da Napoli, come il Dg della Programmazione, Alfonso Morvillo, preso in “prestito” a fine carriera dal Cnr della Campania, e trattenuto forzatamente in servizio oltre i limiti della pensione, più per la sua fedeltà alla «causa» che non per la preparazione tecnica manifestata in un settore delicato, padroneggiato a fatica sin dal primo momento.

Tra gli addetti ai lavori, c’è ancora chi racconta, con un misto di sarcasmo e malcelata rassegnazione, delle volte in cui, nel corso di qualche riunione importante, Morvillo – appena insediatosi – si assentava all’improvviso. Accampando una impellente urgenza, per raggiungere in tutta fretta la stanza occupata dal diòscuro della Presidenza: il dott. Gianpiero Perri. Dal quale recepiva le istruzioni su come gestire l’emergenza del momento. Così da poter annunciare, al proprio ritorno, quasi con un senso di intima liberazione: signori, si fa così.

E qui arriviamo alle «comiche finali» di cui parlavamo all’inizio.

Vera causa – per ammissione dello stesso generale Bardi (vedi intervista di domenica scorsa al “Quotidiano”) – della mancata indizione dei comizi elettorali. Inizialmente dati per certi ad aprile. Ma che rischiano a questo punto di slittare a maggio, se non addirittura a giugno, per essere accorpati a europee e amministrative, ove mai non si riuscisse a confezionare, nei prossimi giorni, come Dio comanda, l’elenco dei progetti da finanziare con gli oltre 861 milioni di euro rivenienti dai Fondi di Sviluppo e Coesione.

I famigerati Fsc 2021-2027 destinati principalmente alle Regioni meno sviluppate del Sud.

Fondi di cui, tra l’altro, va sacramentando da settimane il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, bravissimo nell’inchiodare alle proprie responsabilità, con valutazioni spesso al limite della querela, il ministro Raffaele Fitto. Reo a sua volta di aver fatto sottoscrivere alla presidente Meloni gli Accordi di Coesione con tutti i governatori amici del Centro-Nord. E di aver al contempo boicottato le Regioni del Sud. Campania e Puglia in testa, a guida centrosinistra, che insieme vantano oltre 11 miliardi di euro di Fsc. Bloccati da due anni.

Va da sé che mentre Vincenzo De Luca e Michele Emiliano sarebbero già pronti a sottoscrivere l’Accordo di Coesione con la presidente del Consiglio – in modo da consentire al Cipess di adottare le relative delibere di assegnazione: 6,6 miliardi di euro in Campania e 4,6 miliardi in Puglia – il governatore lucano, Vito Bardi, con i suoi “appena” 861 milioni di euro ancora da programmare (rispetto ai 945 milioni complessivamente messi a disposizione), continua ad annaspare. Per l’inconcludenza del proprio stato maggiore.

Ed in particolare di chi è stato chiamato a guidare la macchina della Programmazione con un carico di conoscenze professionali acquisito in altri contesti lavorativi, più votati alla ricerca che non a maneggiare regolamenti comunitari e leggi regionali.

Basti dire che questa volta, contrariamente a quanto accaduto in passato in circostanze simili, non sono stati coinvolti preventivamente, in fase di «concertazione», i componenti del cosiddetto «tavolo del partenariato», composto dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali, delle associazioni datoriali e del terzo settore, oltre che dei Comuni e delle Province di Potenza e Matera. Tutti puntualmente tenuti all’oscuro – al pari delle forze politiche presenti in Consiglio regionale – delle scelte che andavano maturando nel chiuso di una stanza, tra i soli componenti del «cerchio magico» presidenziale.

Gli stessi che ad un certo punto per recuperare il tempo perduto hanno cominciato a contattare personalmente gli amministratori «amici» (o pronti a dichiararsi tali) per sollecitare la trasmissione di tutti i «progetti esecutivi» disponibili. Compresi quelli in formato “casereccio”. Progetti, per intenderci, chiusi da tempo in un cassetto. Perché fatti predisporre in anticipo, se mai su input di autorevoli suggeritori, a tecnici esterni. Pronti a rischiare di lavorare invano, senza alcun compenso immediato.

Fatta salva la vaga promessa di un incarico futuro, di solito individuabile nella direzione-lavori della prima opera pubblica appaltata.

Ironia della sorte: pare che le telefonate fatte da Morvillo, Perri e qualche altro scudiero presidenziale, con alcune Direzioni Generali invitate a segnalare le proprie esigenze ad horas, o quasi, abbiano prodotto l’effetto «troppa grazia Sant’Antonio». Nel senso che l’elenco della spesa si sarebbe attestato in queste ore a diversi miliardi di euro. A fronte ripetiamo degli 861 milioni disponibili. Ai quali vanno detratti 44 milioni da utilizzare come co-finanziamento regionale dei programmi europei Por Fesr e Fse 2021-2027. Per completare il quadro, va detto che la Regione Basilicata, ai tempi del governo Draghi, aveva già ottenuto una anticipazione di quasi 84 milioni di euro a valere sui fondi Fsc, di cui l’allora assessore Franco Cupparo di Forza Italia aveva pubblicamente ringraziato la ministra del Sud, Mara Carfagna. Di qui l’importo complessivo di 945 milioni del pacchetto sviluppo e coesione.

Sarebbe interessante capire come siano stati programmati (e in qualche caso spesi) i fondi anticipati, per capire cosa c’è da attendersi col grosso del malloppo.

Ma lo spazio è tiranno. Per cui limitiamoci a ricordare che per responsabilità ben individuate il presidente Bardi non è stato ancora in grado di presentare una bozza di Accordo di Coesione degno di questo nome al ministro Fitto. Il che significa che per conoscere la data delle prossime elezioni bisognerà attendere che il documento prenda forma. Perché con lo scioglimento del Consiglio regionale salterebbe automaticamente la visita istituzionale della presidente Meloni in Basilicata, con l’inevitabile rinvio a dopo il voto della firma da far apporre in calce all’Accordo di Coesione tanto al capo del governo nazionale quanto a quello della giunta regionale.

Firma indispensabile. Senza la quale non ci si potrebbe gonfiare il petto in campagna elettorale, sorvolando ovviamente sul mancato rispetto da parte di Bardi e dei suoi consiglieri delle norme vigenti in materia di «concertazione».

A tal proposito, per il ruolo di garanzia che gli è stato affidato, il presidente del consiglio regionale, Carmine Cicala, dovrebbe ricordare al capo dell’esecutivo lucano che l’Accordo di Coesione è un provvedimento di programmazione.

Per cui, ai sensi dello Statuto regionale (articolo 58, commi 3-5-6 della legge 1/2016) la proposta da sottoporre al governo Meloni andrebbe predisposta dalla giunta regionale con il concorso del Consiglio delle autonomie locali (Cal) e della Conferenza regionale per la programmazione (Crp). Senonché a distanza di 3 anni dal varo della legge istitutiva del 2021, il Consiglio delle autonomie locali è rimasto solo sulla carta.

Privo di tutti gli organi di rappresentanza. E la Conferenza per la programmazione non è mai stata convocata per esprimere un parere sull’utilizzo dei fondi Fsc. Per non parlare del Consiglio regionale della Basilicata, regolarmente scavalcato. Se non snobbato ed umiliato, grazie all’ignavia del suo presidente. L’unico, nella storia recente della Regione Basilicata, che sia riuscito a rimanere in carica per ben cinque anni di fila. E si capisce perché: Carmine Cicala non ha mai fastidio ai “padroni del vapore”. Al più, ha retto loro la coda.

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