di Nino Grasso
Nella vicenda «bonus gas», di cui i vertici della Regione Basilicata menano vanto da un anno a questa parte, c’è un lato oscuro che merita di essere denunciato a voce alta. Dati alla mano, infatti, più che ai lucani, il presidente Vito Bardi e l’assessore all’Ambiente Cosimo Latronico hanno fatto sin qui un grande regalo alle compagnie petrolifere per il tramite delle società di distribuzione ad esse collegate. Perché se è vero – come leggiamo – che circa 140 mila famiglie della Basilicata hanno potuto usufruire ad oggi (al di là del reddito dichiarato, e quindi senza distinzione tra ricchi e poveri) di ben 94 milioni di euro distribuiti a piene mani dal governo lucano, è innegabile altresì che i fornitori di gas per uso domestico abbiano incassato il triplo, se non di più. A spese dei propri clienti.
E questo per un motivo semplicissimo:
Tutti i metri cubi di gas che la Regione ha ricevuto da Eni e Total in forza degli accordi di compensazione ambientale stipulati a suo tempo, sono stati venduti alla borsa di Amsterdam ad un prezzo variabile. Che al momento per esempio è di 0,321 euro. Mentre le famiglie lucane – secondo i dati forniti dalle associazioni dei consumatori – quello stesso «smc» (standard metro cubo) se lo sono ritrovato fatturato in bolletta, di volta in volta, ad un costo decisamente più alto. Più o meno ad un euro: media di gennaio-febbraio 2024.
Ma in alcuni casi anche a due euro. Tutta colpa della fine del «mercato tutelato», hanno tentato di spiegare in queste ore Bardi e Latronico, letteralmente sommersi da una valanga di critiche. Specie dopo aver disertato il recente faccia a faccia organizzato nel palazzo del Consiglio regionale dai vertici lucani di Adoc: l’associazione dei consumatori guidata da Canio D’Andrea e Vito Antonio Romaniello.
La verità invece – ed è questo il «lato oscuro» dell’intera vicenda, cui facevamo cenno all’inizio – non ha nulla a che vedere con la fine del mercato tutelato.
Quanto piuttosto con la colpevole dabbenaggine di una classe dirigente regionale che invece di far distribuire agli utenti residenti in Basilicata il gas di sua spettanza estratto in Val D’Agri e nel Camastra Alto Sauro, come avrebbe potuto (e dovuto) fare, ha posto in essere un’operazione commerciale dai risvolti fallimentari. Tradendo le buone pratiche che si intendevano perseguire con gli accordi sottoscritti nel 2020 con Total e nel 2022 con Eni. Accordi che prevedevano (e teoricamente prevedono tuttora) la materiale consegna al punto Snam più vicino di 200 milioni di metri cubi di gas all’anno: 160 milioni da parte della multinazionale italiana e 40 milioni di smc da parte del colosso francese.
Secondo l’idea originaria – nata da una felice intuizione dell’ex amministratore unico di “Sel”, Ignazio Petrone, protagonista della trattativa con Total, poi replicata con Eni, avviata nella scorsa legislatura e perfezionata dopo le elezioni del 2019 – la materia prima estratta dai pozzi di Tempa Rossa e da quelli più numerosi della Val D’Agri andava semplicemente distribuita per il tramite di uno o più operatori del settore, individuati dalla Società energetica lucana, attraverso un regolare bando pubblico. In modo da evitare – come invece è accaduto – che il gas estratto in Basilicata (tanto da Total, quanto da Eni) venisse venduto alla borsa di Amsterdam al prezzo di mercato. Con il relativo controvalore retrocesso alla Regione. Un prezzo di volta in volta determinato dall’incontro tra domanda ed offerta. Oltre che dall’immancabile speculazione innescata dalle crisi internazionali.
Il che ha comportato di fatto il riacquisto della medesima quantità di gas a costi triplicati, con gli utenti residenti in Basilicata apparentemente avvantaggiati dall’operazione «bonus».
Ma di fatto danneggiati. Perché a causa di una transazione commerciale che – come detto – poteva essere tranquillamente evitata, la «molecola» non è mai stata totalmente gratuita, come il generale Bardi e i suoi assessori sono andati promettendo per mesi. Sino all’arrivo delle prime bollette, che ne hanno sbugiardato la falsa enfasi propagandistica. Alla luce di ciò, sorge il dubbio che la dabbenaggine da sola non basti (e che invece ci sia sotto qualcos’altro) per giustificare una operazione giocata a perdere (per i lucani) dal costo di alcune centinaia di milioni di euro all’anno.
Così come crediamo che non sia stata nemmeno casuale la scelta di affidare ad “Api-Bas”, anziché alla “Sel”, la gestione dello stesso «bonus gas».
Una scelta – lo ribadiamo – cervellotica e irrazionale. Che ha innescato una indebita guerra all’interno della galassia regionale, posto che la società per azioni guidata da Luigi Vergari – istituita con lo specifico mandato di subentrare al Consorzio industriale di Potenza, posto in liquidazione – di tutto avrebbe dovuto occuparsi tranne che dei benefici riservati solo a famiglie ed enti pubblici, visto che il suo core business è rappresentato dalle imprese. Peraltro escluse dal provvedimento, per una restrittiva interpretazione della norma sugli aiuti di Stato.
Non sappiamo se questa indebita invasione di campo da parte di “Api-Bas Spa” – come taluni dicono – sia da addebitare allo scarso peso, sul piano tecnico e politico, dell’attuale amministratore di “Sel”, Luigi Modrone (Lega). La nostra sensazione, piuttosto, è che questa “forzatura” – di cui Bardi e Latronico portano per intero la responsabilità – sia stata studiata a tavolino per evitare che la Società energetica lucana, in qualità di Centrale di committenza (ruolo che Api-Bas non svolge), potesse dar corso alle attività previste dagli accordi con Eni e Total.
Nel caso di specie, procedendo ad individuare appunto uno o più operatori privati ai quali far distribuire nelle case dei lucani il gas estratto nelle viscere della Basilicata.
Dal momento invece che la Regione ha inteso imboccare, irresponsabilmente, la strada apparentemente più semplice (quella di vendere il gas, per poi distribuirne i proventi ai cittadini) non è escluso che, di qui a qualche mese, ci si troverà a fare i conti con un clamoroso buco di bilancio, alla luce della previsione (rivelatasi azzardata) di incassare 200 milioni di euro dalla vendita della materia prima fornita da Eni e Total. Mai come in questa circostanza, infatti, è stato poco accorto (per usare un eufemismo) sperare che il gas potesse essere venduto sulla base di una quotazione fissa di un euro a metro cubo.
Quando invece, alla luce delle oscillazioni di mercato, sarà già tanto se l’Ufficio Ragioneria di via Verrastro riuscirà a contabilizzare appena la metà dell’importo iscritto in bilancio. Vedremo. Per intanto, sarebbe opportuno fare di questo argomento un tema di confronto in campagna elettorale. Se non altro per fare chiarezza. E sperare che dopo il voto del 21 aprile prossimo si possa cambiare registro. Questa volta veramente a favore dei lucani. E non di altri.
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