Negli ultimi cinque anni, in uno al tricolore, il primo cittadino di Potenza, Mario Guarente, ha sempre indossato, senza mai cederla ad altri, la fascia di peggiore sindaco d’Italia. Il leghista meno amato del Paese è stato costantemente bocciato dai propri concittadini ogni qualvolta, per mano di organismi terzi, hanno visto la luce le periodiche classifiche sulle performance amministrative dei capoluoghi di provincia. Il che non ha impedito alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e ai suoi vice Antonio Tajani e Matteo Salvini, di promuovere sul campo, a dispetto dei potentini, l’uomo dagli inesistenti risultati. Imponendo nuovamente la sua candidatura a sindaco del capoluogo di regione in occasione delle prossime amministrative di giugno.
Salvo sorprese dell’ultima ora, e a meno di un autonomo passo indietro da parte dell’interessato, che da quanto ci viene detto è da ritenere fortemente improbabile, Mario Guarente capeggerà le liste di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Non perché abbia governato bene. Ma perché così è stato deciso a Roma.
Punto e basta.
E guai a mettere in discussione la scelta fatta dalle segreterie nazionali dei tre partiti di governo sulla scorta di un patto di potere (un tanto a me, il resto a te), come pure hanno tentato di fare nei giorni scorsi i consiglieri comunali uscenti di centrodestra. I quali, dopo aver disertato, in segno di protesta, l’ultima seduta dell’assise municipale, sono stati subito richiamati all’ordine dalla «voce del padrone»: un foglio ben noto alle cronache, sino a ieri ferocemente critico con Guarente, ma al quale deve essere bastata qualche prosaica promessa futura, dopo le decine di inserzioni a pagamento incamerate nell’ultimo mese di campagna elettorale, per cambiare radicalmente opinione. Sta di fatto che gli “ammutinati del Bounty” – come sono stati definiti i «traditori» che hanno avuto l’ardire di non capire che i capi di Roma hanno sempre ragione – pare siano rientrati immediatamente nei ranghi.
A partire – ci dicono – dal fratellino della Meloni, che almeno all’inizio è apparso il più riottoso di tutti.
Parliamo dell’assessore regionale esterno all’Agricoltura, Alessandro Galella, al momento primo dei non eletti per una manciata di voti (11 per la precisione) nella lista di Fdi della provincia di Potenza, a discapito di un’altra ex esponente della giunta Bardi: la neo sorellina Donatella Merra. L’unica donna eletta cinque anni fa in Consiglio regionale nelle file della Lega, approdata in Fratelli d’Italia alla vigilia delle elezioni del 21 e 22 aprile scorsi. Circostanza, quest’ultima, che deve aver sbandato diversi suoi elettori, visto che nelle sole sezioni di Lavello sarebbero state annullate una quarantina e passa di preferenze con il suo nome impresso per errore nello spazio riservato al Carroccio, anziché in quello di Fdi.
Un inconveniente che capita quando si cambia partito all’ultimo momento. Ma che, a ben vedere, non dovrebbe inficiare la volontà chiaramente espressa dagli elettori di voler assegnare il proprio suffragio a Donatella Merra. Al di là dello spazio utilizzato nell’ambito delle sette liste che sostenevano il generale Bardi.
In ogni caso, quei soli 11 voti di scarto devono essere apparsi, agli occhi di Galella, uno scudo alquanto precario dietro il quale ripararsi, dal momento che l’interessato, rimangiandosi il plateale annuncio fatto lo scorso 21 febbraio («Non mi candiderò a sindaco di Potenza»), ha fatto sapere di aver cambiato idea.
Per di più dopo che la Meloni in persona s’era già impegnata con l’alleato Salvini a sostenere Mario Guarente. In forza del principio, condiviso a livello capitolino, secondo il quale i lucani sono disposti a digerire tutto. Anche le pietre.
Senza provare il minimo imbarazzo per essere venuto meno alla parola data ai propri supporter, e incurante dei possibili contraccolpi che l’indisciplina di partito potrebbe procurargli in futuro, Galella, come detto, ha deciso di rispolverare, con cinque anni di anticipo, il «sogno nel cassetto» (quello di indossare la fascia tricolore) che solo due mesi prima, fidando sul proprio ingresso in via Verrastro dalla porta principale, aveva annunciato di voler rinviare al 2029. Peccato che così facendo l’assessore regionale uscente all’Agricoltura abbia dato prova di scarsa maturità. Col risultato di apparire un bambino capriccioso. Pronto a reclamare un giocattolo nuovo di zecca, dopo aver appena fatto a pezzi quello che per due anni si era ritrovato a gratis tra le mani.
Purtroppo, non è così che funziona.
Specie se il giocattolo appena andato in frantumi era costato una barca di soldi sottratti ai contribuenti lucani. Ci riferiamo – tra le altre cose – al festival del vino aglianico, organizzato dal 22 al 24 marzo 2024, a 48 ore dall’apertura ufficiale della campagna elettorale. Una tre giorni di assaggi gratis costata – carte alla mano – diverse decine di migliaia di euro. Con la scusa di riportare in auge, in piazza Mario Pagano, a Potenza, un evento di cui da 130 anni (avete letto bene: da un secolo e sei lustri) s’erano perse le tracce. Come abbia fatto il giovane Galella a ritrovarle, facciamo fatica ad immaginarlo. A meno di non risalire alle sue origini imprenditoriali. Maturate – se non ricordiamo male – all’ombra di una storica cantina potentina. Ma questa ormai è acqua passata. Pardon: vino tracannato. Ora si tratta di guardare al futuro.
E nel futuro dei potentini più che un «sogno» da realizzare, c’è un incubo da sventare. Quello di rivedere alla guida del Municipio per altri cinque anni il peggiore sindaco d’Italia.
L’uomo delle multe a go go somministrate sulla Basentana, in contrada Varco d’Izzo, grazie ad un autovelox non omologato. Oltre che il primo cittadino ideatore delle piste ciclabili in formato mignon. Un esempio tanto pretenzioso, quanto pericoloso, di ecologismo a due ruote.
Un esempio di cui, probabilmente, gli automobilisti potentini non hanno ancora compreso la ratio. Visto che tranquillamente continuano a scambiare la striscia asfaltata in rosso, lungo via del Gallitello, per un’area di sosta della propria automobile. Ma questo Mario Guarente sicuramente non lo sa. Impegnato com’è a guardarsi le spalle dalle «congiure di Palazzo» ordite dai suoi stessi alleati, il sindaco evita da mesi (o forse anni) dal farsi un giro nel centro storico, abbandonato a se stesso. E meno che mai è impegnato a visitare i quartieri di periferia. Bucaletto in testa. La “cittadella” del dopo-sisma di cui l’Amministrazione uscente sembra essersi dimenticata completamente. Alla faccia degli impegni assunti cinque anni fa. Quando il sogno di qualcuno prese le sembianze dell’incubo per tanti potentini.
Nino Grasso
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