Il punto di vista di Nino Grasso – L’incontro segreto di Giorgia Meloni e il ruolo di Bardi, “signorsì” agli ordini di Roma

Il punto di vista di Nino Grasso
Il segnale che Giorgia Meloni ha dato a Potenza con il suo incontro riservato è stato chiaro: a dare le carte sarà il Governo e non Bardi, se rieletto
Il segnale che Giorgia Meloni ha dato a Potenza con il suo incontro riservato è stato chiaro: a dare le carte sarà il Governo e non Bardi, se rieletto.

di Nino Grasso

L’incontro riservato che lunedì scorso Giorgia Meloni ha avuto a Potenza in una location discreta, situata alle porte del capoluogo, dove ha consumato tre ore del proprio tempo, a fronte dei soli 90 minuti successivamente riservati alla cerimonia ufficiale organizzata, in suo onore, presso il polo universitario di rione Francioso, la dice lunga su quella che è la considerazione nella quale è tenuta la classe dirigente lucana di Fratelli d’Italia e della stessa Regione Basilicata da parte del capo del Governo nazionale.

Considerazione pari a zero. O quasi.

Infatti, una volta atterrata nel campo scuola di Macchia Romana, a bordo di quell’elicottero di Stato sul quale ha viaggiato in compagnia di Raffaele Fitto, il ministro da «tenersi buono», essendo l’uomo di governo che gestisce i cordoni della borsa, la presidente del Consiglio è stata accolta dalla propria scorta personale giunta nel frattempo da Roma. Un segnale chiarissimo e non proprio edificante. Quanto meno sul piano della morigeratezza istituzionale, visto che la premier ha fatto uso delle macchine di servizio fatte arrivare a bella posta dalla capitale solo per farsi scorrazzare per poche decine di chilometri all’interno della città di Potenza.

L’intento era chiaro: evitare la fuga di notizie sull’incontro privato che la presidente del Consiglio avrebbe avuto con persone estranee alla cerchia di partito e a quella istituzionale.

E in effetti gli spostamenti della premier sarebbero passati del tutto inosservati, e non se ne sarebbe saputo nulla all’esterno, se il giornalista Gianluigi Laguardia, prima, e la “Nuova”, con chi scrive, poi, non avessero scoperchiato gli altarini, riferendo, tra l’altro, della magra figura rimediata dal governatore Bardi, e signora, in inutile attesa di Giorgia Meloni in quella «panettoneria» di via del Gallitello dove l’on. Salvatore Caiata, con alcuni degli aspiranti consiglieri regionali che fanno parte del suo “gruppo”, s’era premurato di allestire uno speciale comitato di accoglienza in onore della Sorella d’Italia a base di caffè e colomba pasquale.

Per completezza di informazione, oltre che per mantenere fede all’impegno assunto ieri l’altro con i lettori, siamo in grado di rivelare la destinazione “segreta” presso la quale la premier si è fatta accompagnare dalla propria scorta, dopo aver “liberato” – diciamo così – gli uomini della Digos potentina.

Si tratta di un locale sapientemente scelto per la propria posizione defilata. Discreta. Oltre che per la indiscutibile qualità del cibo offerto. Tutti prodotti “doc” della cucina lucana, con buone recensioni su internet, anche grazie all’endorsement ricevuto di recente in una trasmissione Rai, per mano di uno dei più noti buongustai lucani.

Quel Peppone, dalla stazza voluminosa e il piglio simpatico, che già in altre occasioni – ci dicono – avrebbe fatto da cicerone culinario della leader di Fratelli d’Italia. Stiamo parlando della “Taverna Centomani-Stazione di Posta”, situata nell’omonima contrada, alle porte del capoluogo. Un ristorante a gestione familiare, con poco più di una ventina di coperti, nato da una felice intuizione di Maria Giuliani. La cui notorietà, tra gli addetti ai lavori, è legata più alla professionalità maturata nel campo della ristorazione, che non ai prestigiosi natali che ella può vantare, essendo figlia dello storico, e compianto, notaio Pierluigi Giuliani.

Ad organizzare il pranzo sarebbe stato – per quel che ne sappiamo – la Confindustria di Basilicata, anche se il suo presidente, Francesco Somma, nel tentativo di depistare la stampa s’è premurato, per il tramite della propria portavoce, di far sapere a chi scrive di aver trascorso la domenica all’estero.

Ovviamente, ci auguriamo che le mezze verità di fonte confindustriale siano da addebitare ad un pur legittimo dovere di riservatezza nei confronti della prestigiosa ospite romana. Perché sarebbe umiliante per Francesco Somma, in primis, così come lo è stato, senza alcun dubbio, per il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, e per tutto lo stato maggiore locale di Fratelli d’Italia, se la presidente del Consiglio avesse gustato i prelibati piatti preparati dallo staff di Maria Giuliani in compagnia di altri imprenditori (di quelli che contano a livello nazionale e che hanno “filiali” in provincia di Potenza e Matera) snobbando il massimo referente del mondo produttivo lucano.

C’è poi un ulteriore elemento di “gossip”, dagli indiscutibili riflessi politici.

Nemmeno il sen. Gianni Rosa è stato inserito nella ristretta cerchia conviviale che ha accolto in contrada Centomani il capo del Governo. E parliamo del “pupillo” della Meloni. L’unico tra i parlamentari in carica della Basilicata che – a meno di gravi motivi di altra natura che non conosciamo – si è potuto concedere il lusso di disertare la firma dell’Accordo di coesione e sviluppo presso il polo universitario di rione Francioso, per marcare una ulteriore presa di distanza da quel governatore lucano che a suo tempo lo ha “licenziato” senza riguardi da assessore regionale non eletto all’Ambiente.

E qui – esaurite le note di colore – arriviamo al cuore del problema. E alla domanda che viene naturale porsi. Tanto più dopo la magra figura rimediata nelle ultime ore da Bardi, per mano di una premier che lo ha snobbato in malo modo, anche agli occhi della propria consorte, disertando all’ultimo minuto l’appuntamento fissato dall’on. Caiata presso la pasticceria “Tiri”.

La domanda è la seguente: perché Giorgia Meloni, che pure aveva qualche sassolino nella scarpa che le dava fastidio, dopo lo “sgarbo” subito due anni fa, proprio a seguito del «caso Rosa», non si è messa di traverso rispetto alla ricandidatura di Vito Bardi?

Per quale ragione la leader del partito di maggioranza relativa ha rinunciato, apparentemente a cuor leggero, alla guida della Regione Basilicata, che sarebbe toccata di diritto a Fdi, pur essendo consapevole delle scarse qualità amministrative e politiche del governatore uscente?

La risposta è semplice. Serviva – e serve – un «presidente signorsì», come quello che è scattato sugli attenti in Conferenza Stato-Regioni quando si è trattato di approvare a scatola chiusa il Ddl Calderoni sull’autonomia differenziata. La legge, già approvata al Senato, che dopo l’ulteriore passaggio alla Camera segnerà la fine del Mezzogiorno. In particolare nel campo della Sanità pubblica, con i nostri medici allettati a trasferirsi in altri ospedali grazie ai contratti integrativi che solo le Regioni del Nord si potranno consentire di stipulare.

La premier Giorgia Meloni a Potenza

Serviva, e serve, dunque, un «presidente signorsì» che obbedisca agli ordini di Roma, anche nella gestione degli 861 milioni di euro del Fondo di sviluppo e coesione, il cui «accordo» è stato firmato nei giorni scorsi a Potenza.

Perché il segnale che Giorgia Meloni ha inteso lanciare agli interlocutori che ha incontrato, in modo riservato, a «Taverna Centomani», è stato più che esplicito. A dare le carte nei prossimi mesi, dopo le elezioni del 21 e 22 aprile prossimi, sarà il Governo. Non la Regione. E Vito Bardi, se rieletto, sarà per altri cinque anni un presidente pro-forma. Un governatore da blandire con falsa cortesia in pubblico. Ma da umiliare ferocemente in privato. Esattamente come è emerso in modo plateale a Potenza negli ultimi giorni. E di cui i lettori sono venuti a conoscenza grazie al prezioso lavoro di un cronista di strada e di quanti, umilmente, scrivono su questo giornale.

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