di Nino Grasso
Errata corrige: si chiama Giannicola Genovese e non Calabrese, come erroneamente riportato ieri, all’interno del «punto di vista» a firma di chi scrive, il direttore scientifico del Crob atteso da quasi cinque mesi a Rionero in Vulture. Stiamo parlando del giovane ricercatore lucano in servizio presso il Cancer center MD Anderson di Houston in Texas. E la cui nomina, per mano del ministro della Salute, Orazio Schillaci, è avvenuta il 21 novembre 2023. Come si può rilevare da una nota pubblicata in quella data a firma del presidente della Regione, Vito Bardi.
Per quello che può servire, a parziale discolpa di un errore commesso in totale buona fede, e del quale ovviamente ci scusiamo con l’interessato, va segnalata ai lettori la circostanza che ci ha visto commentare la deliberazione n. 174 dello scorso 25 marzo, a firma del direttore generale del Crob, Massimo De Fino, con la quale è stata autorizzata la spesa di 47 mila euro (iva inclusa), in favore della società “InRete” di Milano.
La società fondata e diretta da Simone Dattoli – politicamente vicino alla Lega – che ha organizzato la passerella elettorale andata in scena presso il Centro di riferimento oncologico della Basilicata, con ben tre esponenti del governo Meloni, capeggiati dal vice premier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
Il quale, chiamato a concludere un convegno scientifico dal chiaro sapore propagandistico, organizzato a meno di due settimane dal voto del 21 e 22 aprile prossimi, è stato costretto a parlare dei temi legati ai vari focolai di guerra sparsi per il mondo che gli sono un po’ più congeniali. La qual cosa, per associazione di idee, ha fatto venire in mente, a quanti assistevano alla diretta streaming trasmessa da decine di monitor Tv sparsi in tutto l’ospedale, la quotidiana “guerra” combattuta dai medici lucani contro le carenze di una macchina organizzativa. Che ciascuno può toccare con mano nel mondo della sanità lucana.
Tra l’altro, nelle stesse ore in cui tre ministri, con le proprie auto di scorta al seguito, varcavano i cancelli dell’Oncologico di Rionero, compariva sulla pagina facebook del giornalista Gianluigi Laguardia, un “post” di commento ad un avviso che non avremmo mai voluto leggere, a firma di uno dei più apprezzati medici potentini: il dott. Michele Pizzuti, primario dell’Unità di Ematologia e del Centro trapianti cellule staminali dell’ospedale “San Carlo” di Potenza.
Il testo dell’avviso pubblicato a suo tempo da Michele Pizzuti è il seguente:
«Purtroppo, per grave carenza di personale, i medici in servizio devono seguire contemporaneamente i pazienti in day hospital che quelli dell’ambulatorio. Per tale motivo, gli orari previsti dalle prenotazioni non potranno essere sempre rispettati». Eviteremo di fare commenti. Anche perché bastano e avanzano quelli che abbiamo letto in calce al “post” appena ricordato.
Piccolo inciso: il direttore generale del “San Carlo”, l’ing. Giuseppe Spera, ieri era in una delle prime file al Crob di Rionero, insieme con altri colleghi Dg, impegnato a battere le mani ai ministri in missione in Basilicata, piuttosto che a lavorare per risolvere i problemi operativi presenti da mesi all’interno della maggiore Azienda ospedaliera lucana.
E sempre per carità di Patria, avendolo già fatto nel nostro «punto di vista» di ieri, eviteremo di rimarcare la fiera opposizione dello stesso Dg Spera alla “Sic” di Radioterapia, prevista da un paio di datate delibere della giunta regionale, con la guida affidata alla dott. Grazia Lazzari, primaria dell’omonimo reparto del Crob di Rionero.
Ma torniamo alla deliberazione n. 174 a firma di De Fino e ai 47 mila euro concessi agli “amici” lombardi dell’altro vice premier: il leghista Matteo Salvini, anch’egli peraltro ieri in missione pre-elettorale in Basilicata.
Nell’atto dirigenziale pubblicato sul sito del Crob, figurano, tra i sottoscrittori, anche gli altri due componenti della direzione strategica dell’Istituto di ricerca e cura a carattere scientifico lucano: il direttore amministrativo Giovannino Rossi e il direttore sanitario, Rocco Mario Calabrese. Proprio quel Calabrese che, per errore, abbiamo indicato come direttore scientifico, al posto di Giannicola Genovese, il cui mancato arrivo – a distanza di cinque mesi dalla nomina di Schillaci – è ormai fonte di preoccupazione a Rionero in Vulture.
Che Genovese abbia cambiato idea? E nel caso, perché? Non sfugga che da due anni a questa parte, da quando cioè si è dimesso il prof. Alessandro Sgambato, per “incompatibilità” con i cosiddetti Bardi-boys (Gerardo Di Martino, prima, e Sabrina Pulvirenti, poi) il posto di direttore scientifico risulta vacante. E i ritardi nell’attività di ricerca scientifica rischiano di pregiudicare la riconferma ministeriale della qualifica di “Irccs”, che è legata, come si sa, proprio a quell’attività di ricerca e studio che dovrebbe essere presidiata dal direttore scientifico che non ha ancora deciso se accettare, o meno, la nomina ricevuta a novembre 2023.
Diciamo di più: solo nelle scorse settimane, dopo anni di sacrosante battaglie sindacali, si è giunti alla stabilizzazione contrattuale dei 15 ricercatori precari del Crob.
Verrebbe da dire: era ora. Ma ciò non toglie che si debba fare una seconda, e non meno amara, considerazione: lo stipendio medio di questi giovani ricercatori si attesta sui 1200-1500 euro mensili. Ben poca cosa. Tanto più quando si scopre che la direzione strategica del Crob, su input della giunta regionale, guidata dal generale Bardi, ha “bruciato” (letteralmente) per un solo evento elettorale, posto a carico del pubblico erario, ben 47 mila euro. Vale a dire: oltre due mesi di stipendio per tutti e quindici i giovani ricercatori “stabilizzati” messi insieme.
Lo segnaliamo a beneficio di quanti, in questi giorni, sembrano avere la memoria corta sulle “malefatte” amministrative del governo regionale uscente. Non senza aggiungere la classica ciliegina sulla torta: i 47 mila euro sborsati in favore della società milanese “InRete”, sono stati prelevati da un capitolo di spesa del Crob intitolato: «Fondi Sperimentazione». Come dire: oltre al danno, pure la beffa.
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