Il punto di vista di Nino Grasso – Quella “porcata” arbitraria targata Arlab non vista dal Tar, ma annullata dal Consiglio di Stato

Il punto di vista di Nino Grasso
Francesco Paolo di Ginosa, ex direttore generale Arlab
Francesco Paolo di Ginosa, ex direttore generale Arlab

di Nino Grasso

Il dott. Francesco Paolo di Ginosa non è più il direttore generale di Arlab. La sua nomina – come già riferito ieri su questo giornale – è stata annullata dal Consiglio di Stato, che ha accolto il ricorso presentato dal precedente Dg dell’Agenzia del lavoro e dell’apprendimento, al termine dell’udienza tenutasi a Roma lo scorso mese di dicembre. E la cui sentenza è stata resa nota solo in questi giorni.

Ci sono voluti – è vero – due anni e mezzo, in uno alla forte determinazione del ricorrente e del suo legale di fiducia nel difendere le ragioni addotte in Appello, dopo la bocciatura subita per mano del Tar Basilicata. Ma alla fine il dott. Antonio Severino Fiore (Tonio, per gli amici) e l’avvocato potentino Antonio Di Lena, con l’ausilio dell’avv. Antonio Nicodemo del foro capitolino, hanno vinto su tutta la linea. Sia perché la sentenza del collegio presieduto da Paolo Giovanni Nicolò Lotti (consiglieri Rotondano, Urso, Barreca e Fasano) ha sconfessato il deliberato adottato in prima istanza nel 2022 dai giudici del Tribunale amministrativo regionale della Basilicata.

Quanto soprattutto perché ad uscirne, letteralmente, con le ossa rotte, per una scelta fatta in totale autonomia, in spregio alla normativa vigente, è stato il generale Vito Bardi in persona.

Lui e nessun altro, dal momento che i componenti del primo governo regionale (gli assessori Fanelli, Merra, Cupparo, Leone e Rosa) sono stati a suo tempo esautorati rispetto alla decisione presidenziale di nominare, a settembre 2021, il dott. Francesco Paolo Di Ginosa direttore generale di Arlab: l’Agenzia per il lavoro, precedentemente guidata appunto dal dott. Antonio Fiore. Tra l’altro, proprio l’incauta decisione di Bardi di ricorrere al decreto presidenziale, piuttosto che proporre l’approvazione di una delibera di giunta, come sarebbe stato doveroso fare, ha indotto i giudici del Consiglio di Stato a riesaminare la vicenda frettolosamente archiviata dal Tar.

Il governatore Bardi
Il governatore Bardi

Col risultato di aver portato alla luce la «sostanziale arbitrarietà» dell’operato del governatore Bardi. Che non è esagerato bollare – per utilizzare un termine caro al ministro Calderoli – come una vera e propria «porcata» amministrativa. La prima (tra le tante figlie della cosiddetta “pieni-poteri”) compiuta nel corso di questa legislatura, per mano del generale di Filiano.

Di quella «porcata» – e lo diciamo senza falsa modestia – la “Nuova” è stata una delle più intransigenti voci critiche, in uno ai consiglieri regionali di opposizione, come ha sottolineato ieri il capogruppo regionale del Pd, Roberto Cifarelli, richiamando le varie mozioni e interrogazioni di cui egli è stato l’autore insieme con Marcello Pittella, Luca Braia e Mario Polese.

Sostanzialmente però – dobbiamo riconoscere – la cosa non è stata accolta con particolare enfasi dalla pubblica opinione.

E in un certo senso lo si può capire. All’epoca dei fatti denunciati dai consiglieri di minoranza del Pd e del Movimento 5 Stelle (e in particolare da Gianni Leggieri), la prima giunta di centrodestra di questa Regione si stava ancora godendo la «luna di miele» post-elettorale. Con un ex generale della Guardia di Finanza portato in palmo di mano dai suoi supporter, per il prestigio che gli derivava essenzialmente dalla carica militare fino a quel momento ricoperta. Prestigio incautamente alimentato dalle poche notizie ufficiali (poi smentite dai fatti) che circolavano sul suo conto.

Come le famose quattro lauree conseguite negli anni di servizio, che lasciavano prefigurare, sulla carta, un eloquio spigliato, rivelatosi di ben altra e faticosa caratura. Già nei primi discorsi pronunciati a braccio. Per non dire dell’incerta padronanza della normativa regionale, che faceva a pugni con la quarantennale militanza dell’interessato nell’élite della più grande forza di polizia specializzata nel perseguire i reati amministrativi e finanziari. Il tutto all’insegna di un’ansia platealmente tradita di rigore e di rispetto delle regole da parte di chi pure era nato e cresciuto professionalmente in un ambiente che di quei principi ha sempre fatto un dogma invalicabile.

Diciamolo: per quanto fosse un neofita della politica, Bardi è stato accolto nel 2019 come il salvatore della Patria.

Per cui nessuno poteva immaginare che a distanza di pochi mesi dal suo insediamento, pur di «giubilare» il Dg di Arlab nominato tre anni prima dal centrosinistra (e Tonio Fiore, leggi alla mano, aveva tutte le carte in regola per ottenere una proroga almeno triennale, se non addirittura quinquennale, dell’incarico rivestito) quello stesso ex generale della Guardia di Finanza – di cui tutti ancora cantavano le lodi – avrebbe fatto strame, senza ritegno, della buona gestione amministrativa, esibendosi in ardite operazioni vetero-clientelari.

Come quella, per esempio, di aver «rinnovato», con una formula ambigua, mai utilizzata prima, un concorso pubblico, tenuto volutamente a bagnomaria per oltre un anno. Solo perché nell’elenco dei partecipanti figurava appunto una persona non gradita. L’unica peraltro in possesso dei requisiti richiesti. Secondo: aver modificato la legge istitutiva di Arlab, per abbassare l’asticella della qualità richiesta ai direttori generali, così da poterci infilare anche qualche politico trombato, oltre agli amici degli amici. Terzo: aver utilizzato la via monocratica, anziché quella collegiale e obbligatoria dell’atto di giunta per nominare il neo Dg, Francesco Paolo Di Ginosa. Un funzionario proveniente dalla Provincia di Matera, privo della quinquennale anzianità dirigenziale richiesta in questi casi.

Oltre che, ironia della sorte, ex collaboratore dello stesso Fiore, che di Arlab è stato di fatto il fondatore.

Ma che, a differenza di Di Ginosa, non aveva l’unico requisito che in quel momento serviva per essere riconfermato. La sponsorizzazione di Fratelli d’Italia. Un partito al quale, già all’epoca, Bardi non poteva dire di no, pur in presenza del “niet” (tecnicamente fondato) manifestato apertamente dall’allora assessore di Forza Italia, Franco Cupparo. Di qui la scelta (illegittima) di procedere con decreto presidenziale. Anziché con delibera di giunta. Per di più senza uno straccio di «motivazione». Nonostante il governatore fosse tenuto a mettere nero su bianco le ragioni della propria scelta, fatta senza alcuna istruttoria tecnica. Altra anomalia gravissima.

E con diversi curriculum molto più accreditati sui quali puntare, a partire proprio da quello dell’ex direttore generale di Arlab. In assoluto il più titolato.

Però Tonio Fiore andava escluso a prescindere, perché nominato tre anni prima da Marcello Pittella. E così è stato. Solo che la mancata motivazione della nomina di Di Ginosa da parte di Bardi – che agli occhi del Tar Basilicata deve essere apparso un trascurabile peccato veniale – ha rappresentato, invece, per il Consiglio di Stato, un vulnus gravissimo. Tale da determinare l’annullamento del decreto presidenziale n. 166 firmato in data 8 settembre 2021.

Non faremo della facile ironia sulla data dell’otto settembre, che dal 1943 (giorno della resa dopo la tragica, seconda guerra mondiale) richiama alla mente una delle pagine meno edificanti della storia nazionale. Sta di fatto che per il generale di Filiano (in questo caso una pallida fotocopia del suo molto più noto “collega” Badoglio) quel Dpgr ridotto a carta straccia dai giudici dell’Alta Corte rappresenta una macchia indelebile sul recente cursus honorum politico, dai negativi riverberi futuri.

Sempre che un futuro politico per Bardi ancora ci sia. In specie se il centrodestra, prima, e gli elettori, poi, dovessero fargli qualche brutto scherzo in vista del voto di aprile. Una cosa comunque è certa: nelle prossime ore l’Agenzia regionale del lavoro dovrà essere commissariata, con buona pace delle assunzioni attese già da tempo con lo scorrimento delle graduatorie del concorso svolto un anno fa. E dunque, che dire? Se non che prima finisce questo “strazio” di legislatura. E meglio sarà per tutti i lucani.

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