di Nino Grasso
Appena s’è presentato in Regione per firmare il contratto di lavoro propostogli dalla giunta Bardi, così da assumere immediatamente servizio, dopo la nomina annunciata dieci giorni fa tra squilli di tromba e rulli di tamburo, il neo direttore generale alla Salute, Massimo Mancini, ha capito subito che qualcosa non andava. Al telefono, gli avevano messo fretta. Venga subito. C’è una «sfida epocale da vincere», aveva tenuto a precisare l’interlocutore di via Verrastro, utilizzando, tanto per non sbagliare, le medesime parole contenute nel “sobrio” comunicato stampa fatto diffondere il 7 novembre scorso dal governatore lucano e dall’assessore regionale al ramo, Francesco Fanelli.
Da ex uomo di marina, ligio agli ordini che, in veste di commissario di bordo, era solito ricevere dai superiori sulla portaerei Garibaldi, sull’incrociatore Vittorio Veneto e sulla nave rifornitrice Stromboli, il già “comandante” Mancini non s’è fatto ripetere due volte l’invito. Ha salutato più o meno frettolosamente i colleghi della Asl di Taranto, che secondo taluni, alla luce del suo carattere fumantino, non vedevano l’ora di toglierselo di torno. E dopo essersi fiondato in macchina, per sobbarcarsi ad andatura di crociera il percorso accidentato di una Basentana a zig zag per i cantieri Anas ancora in corso, il neo Dg della sanità lucana ha bussato, ossequiosamente, alla porta del generale Bardi.

Scattando, immaginiamo, metaforicamente sugli attenti.
Strette di mano. Nuovi squilli di trombetta. In questo caso affidati all’enfatico Fanelli e alla sua prosa agreste. «Metteremo a terra la nuova medicina territoriale finanziata dal Pnrr sino al 2026», s’è infatti affrettato a ribadire il vice presidente leghista, dimenticando che ove mai, tra pochi mesi, il centrodestra dovesse perdere le elezioni regionali, l’avventura lucana del neo Dg pugliese sarà bella e terminata. Senza dire che anche in caso di vittoria della coalizione oggi al governo della Regione, il futuro assessore alla Salute potrebbe decidere di affidare la poltrona di direttore generale ad una persona di propria fiducia.
Per cui vien spontaneo chiedersi: ma siamo proprio certi che la Basilicata stia facendo un affare ad affidare le sorti della direzione generale più importante del massimo ente locale ad un manager esterno (il terzo, dopo le esperienze deludenti di Esposito e Bortolan) che potrebbe non avere nemmeno il tempo di disfare le valigie? Un manager pugliese che per aver accettato un incarico a scadenza (tipo yogurt) potrebbe essere stato mosso da motivazioni professionali e personali che forse varrebbe la pena approfondire con maggiore attenzione. E ci riferiamo a voci che se dovessero risultare malauguratamente veritiere ci farebbero addirittura rimpiangere i due predecessori campano e veneto.
Che è quanto dire.
In ogni caso, se il buon giorno si vede dal mattino, dobbiamo dire che per l’ex commissario di bordo della “Garibaldi” il battesimo del fuoco in terra lucana non è andato come sperato. Semplicemente perché, in Regione Basilicata, come accade di sovente, la mano destra non sa ciò che fa la sinistra. Per cui, a chi ha telefonato a Mancini per ordinargli – relata refero – di precipitarsi in via Verrastro, è sfuggito che in assenza del «bilancio consolidato» dell’ente, che non è stato approvato, come previsto, nella seduta del Consiglio regionale di ieri l’altro, nessun nuovo contratto di lavoro può essere sottoscritto.

E pazienza se il neo Dg alla Salute – non proprio felice dell’imprevisto – se ne è dovuto tornare in quel di Taranto.
Se mai mettendo in conto gli sberleffi (alle spalle) di quegli stessi colleghi che, alla luce del sole, avevano (forse) brindato qualche giorno prima alla sua promozione. Parlando di pazienza, non possiamo evitare di solidarizzare con il buon Donato Del Corso: il direttore generale della Stazione unica appaltante. Il quale, dopo aver ricoperto, suo malgrado, l’interim della Sanità sin dallo scorso mese di agosto, non ha fatto in tempo a tirare un sospiro di sollievo per una “rogna” amministrativa che pensava di aver appioppato ad altri, quando se l’è vista invece ripiombare sulle spalle con la stessa velocità dei contrordini militari.
Tutta colpa – ripetiamo – della seduta annullata e rinviata a data da destinarsi del Consiglio regionale a causa della indisponibilità per motivi di salute – stando a quanto riportato nel comunicato ufficiale – del presidente dell’assemblea, Carmine Cicala.
Nel fare gli auguri di pronta guarigione al capo del parlamentino lucano – sempre che la malattia paventata non sia di natura diplomatica – ci sia consentito rilevare che non a caso, all’interno dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, siedono ben due vice presidenti. Entrambi possibili sostituti del titolare, ove mai quest’ultimo fosse costretto – come è accaduto mercoledì scorso – a disertare i lavori assembleari.
Francesco Piro (Forza Italia) e Mario Polese (Italia Viva) sarebbero stati ben felici – ne siamo certi – di sostituire Cicala nell’arduo compito di dare o togliere la parola ai propri colleghi consiglieri, chiamati ad approvare il «bilancio consolidato». Un atto contabile che – come si sa – è la sommatoria di tutti i documenti finanziari del «gruppo» Regione. Un atto importante, sicuramente. Ma alla fin fine di routine. E comunque “caldeggiato” dalle stesse opposizioni, che proprio la scorsa settimana – approvando in aula le leggi sulla sanità privata – hanno dimostrato che si può governare anche dai banchi della minoranza.
Specie se la maggioranza (o presunta tale) è sempre più divisa ed evanescente.
Tanto da non essere più in grado di assicurare nemmeno il numero legale, senza l’apporto determinante dei consiglieri di Pd, M5S, Azione, Italia Viva, Basilicata Oltre e gruppo misto. E allora, verrebbe da chiedersi, cosa si nasconde dietro la malattia (vera o presunta) di Carmine Cicala? Forse i conti che non tornano? Buttiamo lì: i 50 milioni di euro di debiti fuori bilancio legati al settore del trasporto ferroviario? Una cosa è certa: aver rinviato a data da destinarsi una importante seduta del Consiglio regionale per l’indisponibilità di una persona soltanto non solo ha rappresentato una inopportuna forzatura del regolamento vigente, ma ha esposto ancora di più al ridicolo quegli stessi esponenti della maggioranza di centrodestra – come il capogruppo di Fratelli d’Italia, Tommaso Coviello – che una settimana fa sembravano volessero piantare le tende in aula, pur di giungere alla approvazione immediata del «bilancio consolidato».
Ovviamente, l’avvocato di Avigliano del partito della Meloni s’è guardato bene dall’impedire il rinvio della seduta consiliare. Forse perché a Tommaso Coviello, come agli altri consiglieri di Fdi, Fi e Lega, preoccupati di non avere i numeri per procedere a colpi di diktat, importa poco se oltre all’ex commissario di bordo della portaerei Garibaldi, il cui contratto di Dg della Sanità per ora è saltato tra i mugugni dell’interessato, anche decine di altri giovani lucani dovranno legare l’agognata assunzione nella galassia regionale alle ubbie di Cicala. E all’alta considerazione che quest’ultimo deve avere di se stesso. Della serie: senza di me, il diluvio.
Ne abbiamo parlato anche stamattina nel corso della nostra Rassegna stampa.