La verità sulla versione di Aristotele…

di Fiodor Montemurro*
La seconda prova al classico è un’annuale ghiotta occasione per sollevare polemiche e giudizi di merito sull’operato del Miur senza risparmiare dietrologie ideologiche e politiche. Anche questa volta, il brano proposto dal Ministero, l’incipit dell’VIII libro dell’Etica Nicomachea di Aristotele incentrato sul significato e il valore dell’amicizia, non è uscito indenne da critiche di ogni tipo. Giudicato difficile da studenti e docenti (!), il testo in realtà è degno di un esame di Stato, lontano da quella scandalosa facilità della prova di latino dell’anno scorso ma anche da versioni ben più impegnative ed insidiose: i primi 6 righi sono una martellante serie di interrogative retoriche di immediata comprensione, così come facili sono i 5 righi finali. Qualche piccolo sforzo lo richiedeva la parte centrale. Per una volta la Mar colongo, la tanto fortunata quanto incompetente autrice de “La Lingua geniale”, ci ha quasi preso, affermando che “in un momento di eccessi o di sottrazioni, non si è giocato né al ribasso, con un testo smaccatamente facile pur di lasciare liberi tutti, né per eccesso, con opere che sfiorano l’erudizione”, salvo poi sostenere che “lo stile e anche il periodare del filosofo di Stagira i ragazzi lo conoscono”. Cosa che è palesemente falsa, poiché, sebbene il Miur lo raccomandi tra gli autori classici da studiare anche dal punto di vista stilistico-letterario, Aristotele non ha nella disciplina “Lingua e cultura greca” né il posto di Platone né quello di Demostene o di Tucidide. Lungi dall’essere un brano sul “volemose bene”, esso riflette sul senso greco di “philìa” (“superiore addirittura alla giustizia”, come recita il brano proposto), che si esplicita nella agognata “concordia ordinum” sociale, ma che soprattutto è sentimento naturale dell’uomo animale politico (“senza amici e senza condivisione che vantaggio c’è ad avere ricchezza e potere?”) Qualche professore filologo non ha resistito alla tentazione di bacchettare il Ministero per una virgola e un punto mancanti nel testo originale, dettaglio che avrebbe contribuito a ingenerare nei ragazzi spaesamento e confusione, salvo poi ammettere che Aristotele non sapeva nemmeno cosa fossero punti e virgole, visto che la punteggiatura nasce nel Medioevo. La versione, difficile e inaspettata, sarebbe stata “usata” per screditare ancor di più il liceo classico, per palesare le sua carenze e la sua sostanziale inutilità. Premesso che alle critiche, rilevatesi totalmente infondate, ha risposto già il Miur in un nota 2 giorni fa, come stanno veramente le cose? Orbene, il brano proposto, oltre ad essere famoso perché letto nelle antologie anche di filosofia, non presenta una sintassi articolata; la difficoltà (e lasciamogliela qualche difficoltà a questi maturandi!) stava nel rendere in italiano un periodare frammentato e, come è noto, poco lineare, in quanto lasciato in forma di appunto semiprivato: ed ecco un cambio repentino di soggetto, un verbo sottinteso, un’espressione astratta, un uso libero del participio e un simpatico poliptoto. Nessuno dei così fini commentatori di questi giorni si è però accorto che lo stile del brano proposto imita perfettamente le comunissime chat di Whatsapp che i ragazzi si scambiano quotidianamente, a volte incalzanti, a volte un po’ nevrotiche e sconnesse. Quale stile si avvicina di più alla contemporanea modalità di comunicazione giovanile se non questo brano di Aristotele? In un tempo in cui la sintassi articolata alla Cicerone, concepita come una cattedrale che organizza il reale in maniera robusta e strutturata (vedi la versione di Isocrate di due anni fa), è sempre meno padroneggiata dai ragazzi, proprio per le nuove e semplificate forme di comunicazione che essi stessi utilizzano, vogliamo fare le pulci ad un punto e ad una virgola nel testo originale? 8 ragazzi su 10 ignorano come si utilizzi un punto e virgola e si sarebbero dovuti accorgere di durezze sintattiche per una virgola in meno? Piuttosto, avrebbero riconosciuto in Aristotele uno che, come loro, si preoccupa poco di punteggiatura! Questa versione era bella per il messaggio ed era bella anche per il greco, pure se un po’ sconnesso e astratto, perché la bellezza del greco, e molti nemmeno lo sanno, sta proprio in questo suo modo di esprimersi, così creativo, immaginifico, imprevedibile, lontanissimo dal tetragono latino con cui ha davvero poco in comune. E lasciamo ai ragazzi la bellezza di cimentarsi con qualcosa di un po’ spiazzante (se poi è vero che questo brano lo sia stato) come è fisiologicamente il greco, e valutiamo la loro capacità di entrare dentro un testo nella sostanza oltre che nella forma. È quello che da domani la vita li chiamerà a fare, e questa esperienza di Aristotele forse glielo ricorderà per lungo tempo.

*Docente Unibas e IIS Q.O. Flacco di Venosa