Quella visita di trent’anni fa di Papa Giovanni Paolo II ancora nel cuore dei lucani

Di Nino Grasso

POTENZA – Esattamente trent’anni fa, il 27 aprile del 1991 a Matera, e il giorno successivo a Potenza, la Basilicata accoglieva Giovanni Paolo II, in quella che sarebbe stata – per i contenuti dei discorsi pronunciati – una storica visita pastorale resa alle Diocesi lucane da parte del Papa polacco. Il cui ricordo, ancora oggi, è impresso nella memoria di quanti (cattolici e non) vissero quell’evento straordinario, peraltro caratterizzato, sotto il profilo climatico, da una inusuale coda invernale che costrinse a rinviare di due settimane, per una abbondante nevicata, un viaggio inizialmente previsto per il 13 e 14 aprile.
All’epoca, questo giornale ancora non c’era: la “Nuova” sarebbe nata sette anni dopo, per iniziativa di un bistrattato “visionario” chiamato Donato Macchia che in questo, come in altri settori, ha fatto da apripista ad una generazione di imprenditori lucani non sempre incoraggiati e apprezzati per il loro coraggio. E chi scrive, da giovane cronista della redazione potentina della “Gazzetta”, diretta in quegli anni da Pino Anzalone (alla cui scuola si sono formati molti giornalisti di questa regione), si trovò a seguire alcune delle tappe più significative del viaggio papale nel capoluogo, a partire dall’inaugurazione del Seminario Maggiore, voluto da mons. Giuseppe Vairo.
Ricordiamo le strade affollate di gente, lungo l’intero itinerario percorso dalla “papa-mobile”. Da via del Gallitello a piazza Mario Pagano, nel teatro Stabile, per l’incontro con gli amministratori locali. E di qui allo stadio Viviani con ventimila giovani in festa e gli inni in sottofondo cantati dalla corale diretta dal compianto don Pinuccio Lattuchella, dopo la oceanica messa della mattina celebrata nella piana di Tito Scalo, con decine di migliaia di fedeli accorsi da tutta la Basilicata.
In un pregevole volume, curato da don Vito Telesca, vicario generale dell’Arcidiocesi di Potenza, Muro Lucano e Marsico Nuovo, che fu uno degli organizzatori del viaggio papale, sono racchiusi le immagini e i discorsi di quelle ore. Ed è stato un peccato – a causa della pandemia in corso – aver rinviato al prossimo autunno (covid permettendo) il convegno regionale che la Conferenza Episcopale di Basilicata, guidata da mons. Salvatore Ligorio, avrebbe voluto celebrare in questi giorni, per tracciare il cammino della speranza della Chiesa lucana: da Giovanni Paolo II a Papa Francesco. Nella speranza – aggiungiamo noi – di poter quanto prima accogliere a Potenza e Matera anche il secondo Papa «venuto da lontano», dopo le manifestazioni di affetto e vicinanze espresse ai lucani dal Pontefice polacco all’indomani del terremoto ‘80, prima, e nel 1991, poi.
Ricordi personali a parte – che affidiamo alla benevolenza dei lettori, nella speranza che ci venga perdonata la piccola parentesi narcisistica di un cronista con un po’ di anni sulle spalle – crediamo sia utile ripercorrere quel che è stato un evento storico vissuto trent’anni fa, per farne motivo di riflessione alla luce delle difficoltà che ancora oggi la regione vive. E che, per certi versi, rendono più attuali di ieri le parole di Giovanni Paolo II rivolte ai giovani del “Viviani”, con l’invito a non lasciarsi «mai sopraffare dallo scoraggiamento e dalla paura». Perché – egli disse – «la rassegnazione non ci rende mai felici», anche quando «il futuro preoccupa». Un futuro che, in Basilicata, allora come oggi, era (ed è) caratterizzato dalla «preoccupazione della disoccupazione».
La differenza, rispetto a trent’anni fa, è che allora il richiamo del Papa colse la politica lucana preparata ad affrontare le sfide dello «sviluppo autopropulsivo» sulla scorta di una visione dallo sguardo lungo, affidata in fase di realizzazione ad una macchina amministrativa efficiente. Preparata. Con una ossatura «permanente», fatta di funzionari e dirigenti strutturalmente in grado di rivendicare autonomia gestionale, rispetto ad una classe dirigente «transeunte», a sua volta gelosa del proprio ruolo di «programmazione» e «controllo».
La visita di Giovanni Paolo II trovò la Regione Basilicata alle prese con l’insediamento di quello che sarebbe diventato uno dei più grandi poli automobilistici d’Italia, se non d’Europa. E se nel 1993 fu possibile inaugurare il nuovo stabilimento Fiat, realizzato in meno di tre anni, con una velocità portata ad esempio nel mondo, è perché il presidente della Regione di allora (Tonio Boccia), l’assessore alla Programmazione (il compianto Gerardo Coviello) e l’intero governo lucano (Di Mauro, Agostiano, Comodo, Cervellino e Michetti) fecero quello che recentemente Papa Francesco ha auspicato nella sua enciclica “Fratelli tutti”: essere costruttori di «grandi obiettivi».
Nei nostri ricordi di cronista, è vivida l’immagine delle «riunioni di servizio» che si tenevano con cadenza settimanale, con un presidente di Giunta fiero – ed al tempo stesso implacabile – del suo ruolo di “capocantiere”, con tutti i soggetti istituzionali seduti intorno ad un tavolo, chiamati a rispondere di eventuali ritardi registrati rispetto alla verifica precedente.
Oggi, quel “miracolo” sarebbe impossibile, per come nel frattempo s’è ridotta la macchina amministrativa regionale, con la galassia collegata degli enti di sottogoverno, se è vero che ci sono voluti quasi dieci anni per realizzare, sempre a Melfi, a spese della Regione, il Campo Manifacturing: paragonabile – per rendere l’idea – a poco più di un sottoscala, all’interno di un super attico di lusso, posizionato su vari livelli.
Ecco allora che, a distanza di trent’anni, per dirla con Giancarlo Grano, segretario della Consulta diocesana delle aggregazioni laicali, possiamo ritrovare nelle parole di Giovanni Paolo II «una nuova ispirazione per superare le persistenti emergenze dello sviluppo e dell’occupazione, ed invertire la tendenza al declino regionale, tuttora preoccupante».
Poi, diciamo le cose come stanno. Il convegno regionale che la Conferenza Episcopale di Basilicata terrà non appena le condizioni sanitarie lo permetteranno, partirà – è vero – dal ricordo dell’ultima visita pastorale che un Pontefice ha reso alle Diocesi lucane. Ma nessuno potrà impedire a mons. Salvatore Ligorio, e agli altri suoi cinque confratelli Vescovi (Orofino, Sirufo, Caiazzo, Fanelli e Intini), di rimarcare quel che non più tardi di quattro mesi fa essi hanno messo nero su bianco nel messaggio di Natale indirizzato al popolo lucano, a proposito della necessità di fare «una riflessione approfondita sulle problematiche connesse al lavoro, sulla sua qualità e sul modo con cui viene “cercato”, “dato” e “vissuto”».
Un altolà, come si vede, alle politiche clientelari. E un invito forte, pressante ad «affrettare il passo», per rispondere a un «impegno morale solenne a difesa della giovani generazioni».
La Basilicata – hanno scritto i Vescovi – «ha le risorse naturali, economiche, sociali e culturali per vivere meglio». Bisogna saperne fare buon uso. Ma soprattutto occorre uscire «da una sterile autoreferenzialità, da un dannoso vittimismo e da un pernicioso fatalismo».
Parole dure. Sferzanti. In linea con il messaggio a suo tempo lanciato da Giovanni Paolo II. Ma anche con quel che direbbe oggi Papa Francesco, a proposito della migliore politica, posta al servizio del bene comune.