Delitto Bruno Cassotta, rapine e appalti: in appello 5 condanne

Qualche sconto di pena, alcuni capi estinti per prescrizione e la conferma di gran parte dell’impianto accusatorio di primo grado.

Si è chiuso così ieri, davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Potenza il processo di secondo grado scaturito da una delle tante inchieste della Dda potentina sulla criminalità del Potentino e del Vulture-Melfese. I fatti oggetti del processo riguardano estorsioni, rapine, assalti a portavalori, appalti in odore di mafia e l’omicidio di Bruno Augusto Cassotta, l’ultimo di quelli riconducibili alla sanguinosa faida del Vulture-Melfese tra due clan contrapposti.

Fatti che abbracciano un lasso temporale che va dalla metà degli anni ‘90 a periodi molto più recenti. Delle sei condanne, soltanto una è caduta in prescrizione: cancellata quindi la pena a 4 anni inflitta in primo grado all’ex presunto boss dei “Basilischi” (famiglia mafiosa che tuttavia per la Cassazione non è mai stata tale), Antonio Cossidente (ormai da un decennio collaboratore di giustizia). Per un altro collaboratore di giustizia, Alessandro D’Amato, confermata la condanna a 20 anni per aver avuto un ruolo di intermediario nell’omicidio di Bruno Augusto Cassotta (risalente al 2008 e per il quale i presunti mandanti ed esecutore materiale, i fratelli Di Muro e Michele Morelli sono stati assolti in via definitiva e si resta in attesa del verdetto bis della Cassazione a carico di Donato Prota, condannato a 30 anni per aver preso parte al delitto). Massimo Aldo Cassotta era stato invece condannato a nove anni in primo grado per l’assalto ad un portavalori a Potenza del 1994: verdetto confermato dai giudici di secondo grado.

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