Il punto di vista di Nino Grasso – Potenza e la sua stazione centrale da terzo mondo che nessuno farà vedere al ministro Salvini

Il punto di vista di Nino Grasso
Il programma della visita del ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Matteo Salvini, a Potenza: a giudicare dal programma inaugurerà il Terminal di via del Gallitello senza vedere la stazione centrale
Il programma della visita del ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Matteo Salvini, a Potenza: a giudicare dal programma inaugurerà il Terminal di via del Gallitello senza vedere la stazione centrale

di Nino Grasso

Pur nella sua apparente semplicità, il titolo del manifesto – dobbiamo riconoscerlo – è al tempo stesso pomposo e suggestivo. Recita: «Progetti e grandi opere in Italia e in Basilicata». E a giudicare dall’immagine stilizzata del tricolore che compare in testa, un tricolore forgiato artisticamente a mo’ di cavalcavia, tipo Ponte sullo Stretto, sotto il quale si legge uno spot propagandistico non meno enfatico di quello appena citato («2023-2032, l’Italia dei sì»), è facile intuire di cosa si parlerà dopodomani, venerdì, a Potenza, in occasione della visita del ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Matteo Salvini.

Il quale arriverà nel capoluogo di regione alle ore 14,30. Terrà il suo intervento alle 15. E senza altre interlocuzioni di sorta (almeno a giudicare dal programma) abbandonerà il Terminal di via del Gallitello che nel frattempo, immaginiamo, avrà provveduto ad inaugurare proprio in quella mezz’ora di tempo che separerà l’arringa ministeriale dalla fase riservata all’accoglienza dell’uomo di governo. Dopodiché tutti a casa. Tra i pochi abbracci e baci degli ultimi leghisti che in Basilicata non hanno ancora deciso di trasferirsi con armi e bagagli in Fratelli d’Italia e Forza Italia, così come fatto da quasi tutti gli eletti della Lega in Consiglio regionale nel 2019.

Peccato.

Sarebbe stato bello, oltre che significativamente istruttivo per il Salvini-viaggiatore, se nella sua pur fugace visita istituzionale in Basilicata, il vice presidente del Consiglio invece di farsi depositare da una macchina di servizio presso il Terminal Gallitello, avesse deciso di mutuare l’esempio del collega Lollobrigida, programmando il trasferimento in treno. Se mai con il Frecciarossa in partenza da Roma. In modo da provare il brivido dell’alta velocità a 80-90 chilometri orari sulle curve ferroviarie dell’appenino lucano, da Romagnano in poi.

Per poi approdare al binario 2 di Potenza-Centrale e verificare in prima persona cosa possa mai passare nella mente dei viaggiatori costretti percorrere a piedi – con i bagagli al seguito – trenta e passa gradini, una metà del quali in discesa e il resto in salita, prima di raggiungere l’atrio della stazione principale del capoluogo lucano.

Lo diciamo (ahinoi) in qualità di frequentatori abituali della Stazione Centrale di Potenza.

Oltre che in veste di legittimi rappresentanti della sempre più numerosa schiera lucana di “ex giovani” clienti di Trenitalia, costretti periodicamente a raggiungere figli e nipoti sparsi in Europa, più che nel resto d’Italia. Lungi da noi l’idea di guastare la festa di dopodomani al ministro Salvini. Però da lucani perennemente bistrattati e presi in giro da anni dagli annunci farlocchi di Rete Ferroviaria Italiana, a proposito di lavori dati per imminenti e mai realizzati, non possiamo che indignarci nel vedere, accanto al nome del vice premier, quell’immagine stilizzata del tricolore.

Che sembra richiamare, come dicevamo, il Ponte sullo Stretto, quale panacea di tutti i mali del Sud, quando nella più importante stazione ferroviaria del capoluogo di regione della Basilicata (città che vanta, ironia della sorte, le scale mobili più lunghe del Continente) non si riesce a creare un semplice collegamento meccanizzato per consentire ai disabili in carrozzella, alle mamme con i passeggini e alle persone dalla mobilità claudicante di raggiungere senza fatica il secondo e terzo binario di Potenza-Centrale, dai quali transitano i treni a lunga percorrenza.

Non vogliamo alimentare sterili polemiche.

Ma al contempo non possiamo evitare di interpretare il comune sentire, dicendo all’assessore regionale alle Infrastrutture, Dina Sileo – riscopertasi leghista della prima ora, grazie all’incarico di governo conferitole di recente dal presidente Bardi in sostituzione della collega Donatella Merra – che forse dovrebbe cogliere l’occasione offertale dal saluto fugace col vice presidente del Consiglio del suo stesso partito, per far sapere ai vertici di Rfi – tramite Matteo Salvini – che in Basilicata non ne possiamo più di essere trattati da cittadini di serie B. Peggio, da utenti ferroviari del terzo mondo. Costretti ad arrampicarsi, sbuffando sotto il peso delle valigie, su scale ripide e scivolose.

Senza che nessuno faccia niente – ad eccezione delle Associazioni dei consumatori, cui si devono le poche riunioni tenutesi in Regione – per tentare di far rispettare le leggi vigenti. Perché è di questo che stiamo parliamo. Di fare della Basilicata una terra in cui lo stato di diritto non sia un optional. In cui i cittadini non debbano elemosinare i propri diritti. A partire da quelli previsti da un decreto ministeriale di 35 anni fa, il DM 236 del 1989, che ha decretato l’obbligo (ripetiamo: l’obbligo) di eliminare le barriere architettoniche. Per non parlare delle norme europee, platealmente snobbate, quando non relegate a «grida» manzoniane. A partire da quella che recita: «In assenza di ascensori, devono essere installate rampe per persone con mobilità ridotta che non possono utilizzare le scale». Non solo. Queste rampe «devono essere conformi alle norme europee e nazionali». E invece?

Abbiamo sotto gli occhi un verbale del 16 marzo 2023, sottoscritto da Regione e Rfi Spa, dal titolo: «Interventi stazione di Potenza Centrale».

Si parla di abbattimento delle barriere architettoniche attraverso l’innalzamento dei marciapiedi a 55 centimetri dal piano binari per facilitare l’entrata e l’uscita dai treni. Oltre che della riqualificazione dei sottopassaggi pedonali e delle rampe di accesso ai binari. Per finire con l’inserimento di ascensori e l’adeguamento di percorsi e mappe tattili. Inizio dei lavori previsto «entro l’autunno 2023». Siamo a febbraio 2024 e da quel che abbiamo appreso da fonte degna di fede, qual è l’ing. Donato Arcieri, dirigente dell’Ufficio trasporti della Regione Basilicata, i vertici di Rete Ferroviaria Italiana Spa si sono impegnati ad aprire i cantieri entro la fine di quest’anno, sperando di concludere i lavori nel 2026, per non perdere i finanziamenti del Pnrr.

C’è da crederci? Sinceramente, qualche dubbio lo nutriamo. Specie dopo aver letto, nel medesimo verbale di un anno fa, che già nel 2018, prima, e nel 2019, poi, Rfi si era impegnata a concludere i lavori entro il 2020. E allora? Vogliamo continuare a farci prendere in giro? Consentendo ai soliti boiardi di Stato di fare della Basilicata la Cirenaica fascista del bel tempo che fu? Una colonia senza diritti. Priva di dignità. Da trattare a pesci in faccia. Tanto chi vuoi si lamenti? Di certo non il presidente della Regione Basilicata, Bardi. Non l’assessore ai Trasporti, Sileo. Meno che mai i parlamentari del centrodestra, Rosa, Caiata e Mattia che pure viaggiano spesso (a spese dei contribuenti) sul Frecciarossa Potenza-Roma. Andata e ritorno. Ovviamente alle folle velocità di 80-90 chilometri l’ora (quando va bene), prima che dalla sconsolata Basilicata si entri nel territorio di altra regione.

Leggi anche:

Il punto di vista di Nino Grasso – L’emergenza del lago Pantano di Pignola, altra tegola sulla testa delle aziende di Tito e Potenza