Caso Claps, è scontro tra comunità lucana e Chiesa


POTENZA – Un muro alzato ormai trent’anni fa che, oggi come ieri, non ha alcun motivo per restare in piedi. Sul caso Claps la Chiesa potentina continua a mostrare un distacco francamente spiazzante, destabilizzante. “Non abbiamo motivi per chiedere scusa” ha detto il vescovo monsignor Salvatore Ligorio, il vescovo della diocesi di Potenza, per voce del suo avvocato, Donatello Cimadomo, in risposta ai temi sollevati da Gildo Claps, il fratello di Elisa che in una recente intervista rilasciata a Fq Magazine (e ripresa dal nostro giornale), partendo dal no della diocesi potentina alla richiesta della produzione che sta curando la realizzazione della fiction Rai dedicata proprio al caso Claps di effettuare alcune riprese in chiesa, aveva poi risposto ad una serie di domande su questi trent’anni contrassegnati da mezze verità, da tanti silenzi e da troppe omissioni. Parole molto forti quelle del vescovo Ligorio, quasi a voler totalmente estromettere la Chiesa da una vicenda in cui, inevitabilmente per come sono andati i fatti, il clero un ruolo lo ha avuto eccome.

Si può continuare a discutere anche per altri trent’anni sulle presunte responsabilità morali, sui verdetti della magistratura, su quello che poteva essere e non è stato. Discorsi che oggi lasciano il tempo che trovano e sui quali non vogliamo tornare. Ma Elisa è stata uccisa ed è rimasta nascosta per 17 anni in un locale pertinente alla chiesa, quel buio e basso sottotetto che nessuno sembrava conoscere. Sarebbe bastato questo dato incontrovertibile, a prescindere dalle responsabilità dell’assassino, già appurate nelle sedi opportune, a dover spingere la Chiesa a chiedere scusa. Non come singole persone, non come singoli sacerdoti o vescovi. Ma come comunità, come istituzione. Alzare un muro rispetto al dolore e al sacrosanto desiderio di verità e giustizia di una famiglia violata da una tragedia immane, non è un gesto da Chiesa. E’ anche e soprattutto per questo che nei mesi scorsi l’annuncio della volontà da parte della diocesi di riaprire al culto la chiesa della SS Trinità, nel cui sottotetto il corpo senza vita di Elisa è rimasto per ben diciassette anni, ha diviso nuovamente la città. E anche ieri, sui social, la polemica è, inevitabilmente riesplosa…

L’approfondimento di Fabrizio Di Vito nell’edizione di oggi de La Nuova del Sud