POTENZA – Prima lo stesso Gip di Potenza, poi il Tribunale del Riesame, ora la Cassazione a mettere una parola chiara su una vicenda causa di non poche sofferenze personali e a dare ragione a Donato Macchia nell’ambito del bando Ismea. Per un accostamento disonorevole, tra l’altro subito strumentalizzato a proprio uso e consumo – anche a mezzo stampa – da quanti fanno dell’odio personale il proprio inchiostro quotidiano. La Suprema Corte ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla Procura della Repubblica di Potenza, che insisteva per l’applicazione di misure cautelari, tra gli altri, anche nei confronti dell’imprenditore Donato Macchia, nell’ambito dell’indagine, relativa all’assegnazione nel 2020 di un lotto fondiario Ismea nell’agro di Melfi.
La Procura della Repubblica di Potenza aveva, infatti, proposto ricorso per Cassazione avverso il provvedimento del Tribunale del Riesame di conferma del rigetto della richiesta di applicazione di misure cautelari già pronunciato dal Gip di Potenza che, ritenendo non sussistere l’aggravante mafiosa contestata, si era già dichiarato incompetente.
La Corte di Cassazione, accogliendo uno dei motivi di ricorso presentati dai legali di Macchia, ha quindi definitivamente chiuso la parentesi cautelare dichiarando inammissibile il ricorso della Procura, di cui comunque la stessa Procura Generale presso la Suprema Corte aveva chiesto il rigetto. A conferma di un filo conduttore che ha sempre caratterizzato finora l’intera vicenda giudiziaria, ovvero l’esclusione categorica di tutti i giudici fin qui auditi dell’aggravante mafiosa contestata dalla Dda di Potenza, motivo di profonde amarezze per l’imprenditore lucano.
La sentenza della Cassazione
Donato Macchia – è evidenziato in una nota – confida dunque di poter chiudere definitivamente la vicenda, avendo già dimostrato la sua assoluta estraneità ai fatti contestati, forte anche dell’ennesima pronuncia che gli permetterà di affrontare le prossime tappe con maggiore serenità.